La riduzione delle ore di terapia ABA: la ASL deve risarcire la condotta discriminatoria.

Corte di Cassazione, Sezione 3, Civile, Sentenza, 28 marzo 2022, n. 9870

Ragazzo autistico – Assistenza – Asl – Riduzione delle ore di terapia ABA (Applied behaviour intervention) – Condotta discriminatoria – Responsabilità e risarcimento


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15849/2019 proposto da:

(OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di genitori esercente la potesta’ sul minore (OMISSIS), domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

Azienda Sanitaria Locale xxxx, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS);

– controricorrente –

Regione xxx;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1775/2018 della CORTE D’APPELLO di xxx, depositata il 19/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/02/2022 dal Cons. Dott. ENRICO SCODITTI

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di genitori esercenti la potesta’ sul minore (OMISSIS), convennero in giudizio innanzi al Tribunale di xxx l’Azienda Sanitaria Locale xxx e la Regione xxxx chiedendo la cessazione, ai sensi della L. n. 67 del 2006, articolo 3 e Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 28, della condotta discriminatoria costituita dall’applicazione in modo inadeguato a decorrere dal (OMISSIS) della terapia ABA (Applied behaviour intervention) al minore affetto da autismo, con ordine alla ASL di riconoscere un monte ore di terapia adeguato (40 ore e non 18 ore) e, in assenza di presa in carico, di erogazione del trattamento in regime di assistenza indiretta, rimborsando le spese sostenute presso operatori non convenzionati, oltre il risarcimento del danno, patrimoniale (per spese sostenute) e non patrimoniale. Si costitui’ la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.

2. Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda, accertando l’esistenza della condotta discriminatoria limitatamente al periodo (OMISSIS), periodo in cui non vi era stata erogazione della terapia ABA, e condannando la ASL al risarcimento sia del danno patrimoniale per complessivi Euro 4.365,00 (pari ai costi per le terapie ABA sostenute), oltre Euro 600,00 per spese di viaggio e soggiorno a (OMISSIS), sia del danno non patrimoniale per Euro 12.000,00, in ragione del rallentamento del processo di recupero del benessere psicofisico del minore.

3. Avverso detta sentenza proposero appello gli attori sia per il mancato riconoscimento della condotta discriminatoria a decorrere dal (OMISSIS), sia sotto il profilo della quantificazione del danno per il periodo precedente. Si costitui’ la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

4. Con sentenza di data 19 novembre 2018 la Corte d’appello di xxxx rigetto’ l’appello. In via preliminare la corte territoriale prese atto dell’approvazione del progetto pilota, di cui alla Delib. n. 908 del 2017, per l’assistenza a pazienti affetti dal disturbo in questione, con decorrenza da (OMISSIS), allo scopo di soddisfare le esigenze dell’utenza con riferimento al metodo ABA e di superare l’ostacolo alla fruizione in regime di assistenza indiretta stante il divieto di cui alla Legge Regionale n. 11 del 1984, articolo 14. Osservo’ quindi che da un lato gli appellanti avevano rappresentato una situazione di discriminazione indiretta per l’impossibilita’ di attuare la terapia di tipo ABA, non rappresentando pero’ contestualmente una specifica condizione di svantaggio rispetto ad una correlata identica riduzione della fruizione del medesimo diritto anche da parte di soggetti non disabili (ossia non era stata rappresentata una situazione di svantaggio – dunque discriminatoria – rispetto a soggetti non disabili in relazione alla tutela di uno stesso diritto); dall’altro lato non risultava che gli appellanti avessero chiesto di accedere alla mobilita’ sanitaria in ambito extraregionale e che detta mobilita’ fosse stata illegittimamente negata, laddove invece accordata a terzi. Aggiunse che era carente la prova concreta di un comportamento difforme rispetto ad altri pazienti. Osservo’ ancora che ogni altra questione risultava superata ed assorbita.

5. Hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di genitori esercenti la potesta’ sul minore (OMISSIS), sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso l’Azienda Sanitaria Locale xxxx. Il pubblico ministero ha presentato le conclusioni scritte. E’ stata depositata memoria di parte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 28, comma 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Premette la parte ricorrente che il Tribunale, nonostante avesse accertato l’erogazione a partire da (OMISSIS) della terapia ABA nei limiti di 18 ore anziche’ le 40 prescritte, aveva escluso l’esistenza della condotta discriminatoria e che tale decisione era stata impugnata sotto il profilo che una volta provata l’esistenza di un comportamento astrattamente discriminatorio, la prova della non discriminatorieta’ spettava al convenuto. Osserva quindi che, pacifica l’erogazione del trattamento per un monte ore inferiore a quello prescritto, era onere della ASL provare che il comportamento tenuto non fosse stato discriminatorio.

1.1. Il motivo e’ infondato. Prevede il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 28, comma 4, per quanto qui rileva, che “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si puo’ presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione“.

La norma realizza un’agevolazione probatoria nel giudizio antidiscriminatorio in favore dell’attore mediante lo strumento di una parziale inversione dell’onere della prova. L’attore deve fornire elementi di fatto dai quali si “puo'” presumere l’esistenza di condotte discriminatorie. Non si tratta della presunzione semplice di cui all’articolo 2729 c.c., perche’ altrimenti la disposizione sarebbe priva di valenza normativa. Come precisato da Cass. n. 1 del 2020, l’inversione dell’onere viene “a situarsi in un punto del ragionamento presuntivo anteriore rispetto alla sua completa realizzazione secondo i canoni di cui all’articolo 2729 c.c.”. Gli elementi di fatto non devono avere le caratteristiche contemplate da quest’ultima norma (gravita’, precisione e concordanza), ma devono rendere plausibile l’esistenza della discriminazione, lasciando comunque un margine di incertezza in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria. Il rischio della permanenza dell’incertezza in ordine al fatto costitutivo della domanda grava sul convenuto il quale, una volta che l’attore abbia assolto l’onere di provare circostanze di fatto da cui poter desumere prima facie l’esistenza della discriminazione, ha l’onere di provare l’insussistenza di quest’ultima.

Compito del giudice di legittimita’ e’ il controllo della corretta applicazione della detta regola di riparto degli oneri probatori, fermo il giudizio di fatto che compete al giudice del merito. Ulteriori profili del sindacato di legittimita’, con riferimento al giudizio di fatto, sono quelli afferenti al vizio motivazionale e alla sussumibilita’ nella fattispecie di cui all’articolo 2729 delle circostanze apprezzate dal giudice di merito, ferma la competenza di quest’ultimo in ordine alla congruenza probatoria dell’inferenza presuntiva stabilita.

Il giudizio di fatto del giudice del merito e’ stato nel senso che, a fronte dell’allegazione di discriminazione indiretta, non risultano forniti elementi di una situazione di svantaggio rispetto a soggetti non disabili, anche sotto il profilo dell’accesso alla mobilita’ sanitaria in ambito extraregionale, che sarebbe stata negata alla parte appellante e accordata invece a terzi. Il giudizio di fatto e’ stato quindi nel senso del mancato assolvimento dell’onere di deduzione di elementi di fatto sulla base dei quali presumere condotte discriminatorie. Il riconoscimento di una carenza di “prova concreta di un comportamento difforme rispetto ad altri pazienti” e’ da intendere non in assoluto (ossia nei termini di cui all’articolo 2729), ma in relazione a quanto osservato poco prima circa l’assenza di elementi di una semipiena prova presuntiva. E’ questo il significato del rilievo della mancanza della deduzione di una specifica condizione di svantaggio rispetto ad una correlata identica riduzione della fruizione del medesimo diritto anche da parte di soggetti non disabili. Non vi e’ quindi spazio per una denuncia della violazione della regola dell’onere della prova.

Vi e’ da aggiungere che in ordine al giudizio di fatto non risulta proposta una specifica censura di vizio motivazionale, denunciando per ipotesi l’omesso esame di un fatto storico ulteriore rispetto alla mera omessa somministrazione della terapia nei termini pretesi dalla parte attrice (circostanza valutata evidentemente dal giudice di merito inidonea a fondare la presunzione di cui all’articolo 28, comma 4) e che costituisse un fatto decisivo al fine di presumere prima facie l’esistenza della discriminazione. Le risultanze istruttorie restano pertanto ferme nei limiti di quanto accertato dal giudice del merito.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione della L. n. 67 del 2006, articolo 2, comma 3, articoli 2 e 25 Convenzione ONU del 13 dicembre 2016 ratificata con L. n. 18 del 2009, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Premette la parte ricorrente che il Tribunale, nonostante avesse accertato l’erogazione a partire da (OMISSIS) della terapia ABA nei limiti di 18 ore anziche’ le 40 prescritte, aveva escluso l’esistenza della condotta discriminatoria e che tale decisione era stata impugnata anche sotto il profilo che la condotta discriminatoria indiretta non comportava una disparita’ di trattamento del disabile rispetto agli altri disabili, ma semplicemente una situazione di svantaggio rispetto alla generalita’ dei consociati. Osserva quindi che il giudice di appello ha respinto il motivo di appello assumendo che la situazione di svantaggio prospettata non era discriminatoria rispetto a soggetti non disabili in relazione alla tutela dello stesso diritto e che, al contrario, sufficiente ai fini dell’integrazione della condotta discriminatoria e’ che tale comportamento ponga il disabile in una situazione di svantaggio rispetto alle generalita’ dei consociati (disabili e non) che, una volta ammalatisi, riescono a conseguire dalla ASL il trattamento sanitario prescritto. Aggiunge che l’omissione del trattamento sanitario in favore del disabile e’ suscettibile di concretizzare una discriminazione indiretta ove non accompagnata da una corrispondente contrazione dell’offerta sanitaria per tutti gli altri soggetti.

2.1. Il motivo e’ inammissibile. Va premesso che in base alla L. n. 67 del 2006, articolo 2, comma 3, “si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilita’ in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”. Con il motivo di ricorso si denuncia l’illegittima comparazione della situazione di svantaggio con altri disabili, anziche’ con la generalita’ degli utenti del servizio sanitario pubblico. La censura non coglie la ratio decidendi ed e’ pertanto priva di decisivita’ perche’ la condizione di svantaggio e’ stata dalla corte territoriale considerata anche con riferimento ai soggetti non affetti dalla medesima disabilita’, e dunque come generalita’ degli utenti del servizio sanitario pubblico. Non si e’ trattata quindi di una limitazione del giudizio ad una categoria di soggetti (disabili o non disabili).

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha omesso di esaminare il motivo di appello avente ad oggetto la quantificazione del risarcimento per la condotta discriminatoria fino al (OMISSIS) reputandolo assorbito, laddove invece l’accertamento della discriminazione per il periodo indicato imponeva l’esame del motivo.

3.1 Il motivo e’ fondato. Va preliminarmente rilevato l’assolvimento dell’onere processuale di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, alla luce di quanto precisato a pag. 8 del ricorso in ordine al secondo motivo di appello.

L’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo piu’ pieno, mentre quello in senso improprio e’ ravvisabile quando la decisione assorbente esclude la necessita’ o la possibilita’ di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande; ne consegue che l’assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia (fra le tante da ultimo Cass. n. 12193 del 2020).

Il giudice di merito ha ritenuto erroneamente esistente una fattispecie di assorbimento improprio, reputando che il mancato accoglimento del motivo di appello avente ad oggetto il mancato accertamento della condotta discriminatoria per il periodo successivo al (OMISSIS) escludesse la necessita’ di provvedere sul motivo di appello avente ad oggetto il quantum risarcitorio. Quest’ultimo motivo aveva pero’ ad oggetto il risarcimento riconosciuto per il periodo (antecedente) per il quale il Tribunale aveva invece accertato l’esistenza della condotta discriminatoria. Non ricorreva pertanto una fattispecie di assorbimento improprio, ma piuttosto il dovere del giudice di appello di provvedere sul motivo di impugnazione.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo rigettando per il resto il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di xxx in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.